mercoledì 9 ottobre 2013

Rush - Recensione


Regia Ron Howard
Attori Daniel Brul, Chris Hemsworth, Pierfrancesco Favino, Olivia Wilde, Alexandra Maria Lara

Trama

Il film racconta la storia della rivalità sportiva tre James Hunt e Niki Lauda, andando a ripercorrere i loro duelli automobilistici, dagli albori delle loro carriere in Formula 3 fino alla corsa per il titolo di campione del mondo di Formula 1. Andando ad analizzare le vite dei due piloti, il film si sofferma sugli episodi decisivi delle rispettive carriere, fino a quello più famoso dell’incidente occorso a Niki Lauda in Germania sul circuito del Nurburgring nell’agosto del 1976.

Recensione


Balla l’accendino sotto il tavolo durante la conferenza stampa prima della gara. A farlo ballare è la mano di James Hunt, pilota di Formula 1. Spavaldo davanti al mondo, strafottente con gli avversari (tanto da chiamare Lauda con l’appellativo di “topo”), ma lontano dagli sguardi altrui impaurito e nervoso. Vomita prima dalla gara, ma quello non fa notizia, è quasi un rito ormai. Lauda invece è impeccabile, freddo. E la sua freddezza non pare essere calcolata o di facciata, è semplicemente autentica: è misurato e rigoroso come un computer. La glaciale razionalità a cui ricorre per migliorare la macchina è la stessa che usa per tenere a bada gli altri, la sua assenza di tatto è lo specchio della sua determinazione. Due modelli di tenacia diversi, due professionisti agli antipodi, quindi, come differenti sono i loro modi di interpretare la sconfitta, la vittoria, la gara, il mestiere (e persino il matrimonio). Intrecciati però in una radice comune, che alla lunga sfocia in un rispetto profondo, dettato forse proprio dalla loro complementarietà. La storia è quella dei due classici opposti che non possono che intrigarsi e cercarsi: “Che gomme ha messo Lauda? Che gomme ha messo Hunt? Si copiano e spesso stanno immobili a studiarsi. Ognuno l’ossessione dell’altro, ognuno il metro di giudizio dell’altro, ognuno con il podio nel mirino, spinti da due visioni differenti dello sport, che ognuno rivendica ed innalza a stile di vita. Alla lunga Lauda la spunta, non tanto in gara, ma nella scelta del ruolo da interpretare durante propria esistenza: più misurata e contenuta, ma intensa almeno quanto quella dal rivale. Al contrario Hunt se ne frega del pericolo di morire o di rimanere ferito ed accetta di correre anche se questo supera il 20%. Però è Lauda a finire vittima della percentuale, con l’incidente che lo sfigurò. Da quel momento si fa quindi più disposto ad abbandonare la razionalità ed il calcolo del rischio, con lo scopo di salire di nuovo in macchina, spinto dal rivale, che nel frattempo rosicchia punti alla sua posizione in classifica. Hunt al contrario diventa più cauto. Ma non si può tradire a lungo la propria natura, e così l’eccesso tornerà di nuovo ad essere il marchio di fabbrica di Hunt, mentre la tattica e il calcolo saranno ancora una volta le fondamenta della disciplina di Lauda.  
Un film su un dualismo sportivo che ha nel pilota austriaco il personaggio centrale, ma che trova nel contendente inglese un risvolto della medaglia senza dubbio epico. Un personaggio, quest’ultimo, che sa incarnare il ruolo di antieroe strafottente e donnaiolo, dotato però di una purezza quasi infantile, ma anche di una tenacia ad intermittenza, tanto discontinua da dettarne i tempi delle ascese e delle cadute, sia in pista sia nella vita al di fuori delle corse. Eroe maledetto vittima del proprio egocentrismo Hunt, eroe suo malgrado Lauda, costretto a fare i conti con il dolore e la paura della morte, ma impavido e determinato nel tentativo di ritornare a correre; oltre che uomo tormentato e poco avvezzo alle relazioniproblema che lo costringerà a scendere a patti con la sua parte più emotiva ed umana, riconoscendole il peso che merita. 
Il film scorre in maniera regolare, con un lungo flashback, senza sbalzi temporanei troppo drastici. Molto lineare nello sviluppo della storia, sa condensare i momenti salienti, dando la sensazione che il film potrebbe reggere benissimo anche senza il suo punto centrale, nonchè pretesto della storia: l’infortunio di Lauda. Questo è sicuramente un punto a suo favore, poiché conferisce pari dignità tutte le parti del film a dispetto dell’ovvia centralità dovuta all’episodio dell’incidente. Ron Howard manifesta in questo film una capacità rappresentativa ed uno stile narrativo davvero impeccabili: le scene di gara sono curatissime sia visivamente sia dal punto di vista sonoro, senza sconfinare nello spettacolarismo (alla Michael Bay tanto per intenderci), evitando quindi de cedere all’uso eccessivo del ralenti o all’inutile chiasso delle solite esplosioni gratuite. Le scene più intime sono invece essenziali e caratterizzate da una sensibilità profonda che mai sfocia nel sentimentalismo spintodove anche i silenzi hanno il loro peso e sono gestiti in maniera intelligente, così da conferire maggiore spessore ai contenuti dei dialoghi.  
Il finale si concretizza in una chiusura molto convincente, che dona ulteriore verità e fascino all’intera pellicoladando vita ad una conclusione tinta di una nota di nostalgia. Tutto ciò grazie anche all’utilizzo dalle immagini di repertorio dei due piloti e alla voce fuori campo, che lascia emergere la stima che legava i due agguerriti rivali, sottolineando come, alla fine, la mancanza dell’uno trovi la sua eco nella malinconica tristezza dell’altro. 

Voto 8,5

G.P.

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