Regia Joshua Michael Stern
Attori Ashton Kutcher, Matthew Modine, Josh Gad, Dermont Mulroney
Trama
La vita di Steve Jobs raccontata dagli inizi, quando ancora studente universitario sognava di inventare qualcosa di originale, diventando poi fondatore della Apple e passando attraverso momenti difficili e crisi personali.
Recensione
Realizzare un biopic è senza dubbio un’impresa complicata anche se può sembrare il contrario, dato che la storia è già stata scritta in prima persona da colui che si è apprestato a viverla. Partendo da questo presupposto si finisce però col ridurre il film ad una fiction senza spessore, come è capitato proprio in questa pellicola. Jobs non sfrutta le potenzialità di un personaggio gigantesco nelle ambizioni, e limitatissimo nella capacità affettive: parabola amara su una forma di potere che si è obbligati a raggiungere, forse spinti dalla convinzione di dover provare qualcosa, o mossi da una passione che invece che animare, agita e tramortisce. La passione è infatti la sfumatura più vivida che questo film conferisce al personaggio: il focus sulla sua anima indomita, che non conosce resa, restituisce a questo personaggio un po’ di luce (e allo spettatore la curiosità). Ma il contrasto con le sue zone d’ombra risulta poco approfondito, o approfondito in maniera standard e banale, ricalcando la stessa psiche di Mark Zuckerberg in The social network. Contrariamente a quest’ultimo film, però, non c’è un’angolatura speciale dalla quale è stata osservata la storia (il processo ai danni del creatore di facebook, nel film sopracitato); non è un punto particolare della vita del protagonista ad essere analizzato più approfonditamente, ma la sua esistenza è scomposta nelle tappe connesse ai suoi successi o insuccessi professionali, evidenziando i crocevia della sua carriera, peraltro senza la giusta attenzione. Così facendo, quando Steve ricorda gli avvenimenti passati, allo spettatore (o per lo meno al sottoscritto) sembra si stia parlando di momenti non poi così distanti nel tempo cronologico della storia, ma, al contrario, appena vissuti, proprio perché non sono colti in tutta la loro forza, ma vengono solo menzionati senza mostrare come il protagonista li assimili e come da questi venga mutato. Il risultato è che gli unici cambiamenti lampanti, che si notano con immediatezza, sono quelli dovuti al look del protagonista, che cambia negli anni.
Rino Gaetano cantava: “e quando la tua mante prende il volo ti accorgi che sei rimasto solo”: ecco è proprio questa la storia del protagonista, quella dell’incompreso che alla solitudine risponde con l’isolamento volontario e con l’esaltazione del proprio lavoro, quasi che il rincorrere il progresso non fosse altro che un tentativo di fuga dall’insoddisfazione. Jobs si aggira lungo tutto l’arco del film con un’andatura curva, quasi che questa fosse la manifestazione di un tormento, che però la pellicola si limita a filmare e a riprodurre nella mimica e nella postura, riducendo così un personaggio così complesso ad una macchietta. Rimane quindi un elemento simbolico, questa camminata grottesca, ma anche la metafora di un film che si sofferma sugli aspetti più visibili del suo protagonista, non sapendo però andare oltre. La sua battaglia contro coloro che vogliono impossessarsi della sua creatura è trattata come fosse una bega di condominio, senza intensità e senza la necessaria curiosità, volta a capire l’importanza che l’azienda ha per il suo fondatore. Tra un pianto ed uno scatto d’ira il film si trascina verso un finale enfatico che si chiude con la frase-slogan (“questo video è dedicato ai folli…”) che è stata usata a suo tempo come spot per il prodotto. La banalizzazione di un discorso così incisivo è cominciata dall’accostamento del medesimo alla pubblicità del marchio, e si è compiuta con il suo ulteriore utilizzo per il finale di questo film, che a sua volta sembra non un biopic, ma l’ennesima pubblicità all’azienda, visto lo scarsissimo coinvolgimento emotivo e lo stile da telefilm adolescenziale con il quale è stato realizzato.
Voto 4/5
G.P.
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