Regia Woody Allen
Attori Cate Blanchett, Alec Baldwin, Bobby Cannavale, Sally Hawkins
Trama
Jeanette Francis, detta Jasmine, è una donna che vede la sua vita perfetta andare completamente in pezzi. Prima che suo marito Harnold, ricco uomo d’affari, andasse in galera, conduceva un’esistenza perfetta a Manhattan, immersa nel lusso ed impegnata ad organizzare party per l’elite della Grande Mela. Caduta in rovina riallaccia i rapporti con la sorella Ginger, residente a San Francisco, domandandole di ospitarla. La donna vive col suo nuovo ragazzo Chili, ed ha due figli da una precedente relazione. La convivenza tra le due sorelle non è affatto facile, Jasmine è però decisa a riordinare la sua vita, cercando così di riemergere da uno stato di pericolosa malinconia, che sembra però in piena espansione.
Recensione
Woody Allen da sempre ci ha abituati a commedie caratterizzate da marcate sfumature esistenziali, nelle quali il suo umorismo sottile smorza ed al contempo inasprisce la sua concezione amara della vita. Il suo pessimismo è diventato un suo elemento di distinzione, come la sua ironia cinica e sconsolata. In questo film i toni si abbassano e la vivace abbondanza di materiale comico, tipica del suo repertorio, sparata a raffica in film come Basta che funzioni (bellissimo!), rimane in sordina, lasciando spazio ad uno stile sicuramente più misurato e sotto le righe nella forma, ma dal contenuto decisamente più amaro, soprattutto negli esiti della storia e nelle sue conclusioni. In Basta che funzioni la felicità era a tempo determinato: si gioisce per quanto sia consentito, attendendo che la ghigliottina faccia il suo mestiere. Qui invece la vita è concepita come una pugnalata al fianco, un tormento continuo, una fregatura costante. L’ironia che emerge in questa pellicola scaturisce dalla paradossalità delle scene e dalla pena che suscitano i vari personaggi, del tutto ignari delle loro situazioni, e quindi ancora più patetici. Torna di nuovo, quindi, il tema dell’illusione come unica chiave per la felicità, che ha come sole alternative la follia o l’insoddisfazione, anche se lucida, e quindi ancor più lancinante. Differenti manifestazioni di squallore dunque, ai quali Allen ci avvicina trasmettendoci il suo senso di pena e il suo disagio profondo, senza concedere però ai personaggi nemmeno un po’ di pietà. È tragico il dimenarsi che la povera Jasmine mette in mostra per l’intera durata della pellicola: un movimento disarticolato e sgraziato, animato dal solo intento di non guardare in faccia l’inevitabile rovina. Ed è proprio questo suo goffo tentativo di mantenersi eretta e signorile lungo il patibolo, che rende tragicamente grottesco il suo personaggio, conferendole al contempo anche un’elevata statura, quasi simbolica, proprio a causa di questa incosciente superficialità e di una regalità appassita e definitivamente deturpata.
La struttura della storia richiama alle sceneggiature care soprattutto all’ultimo Allen, fatte di incontri fortuiti, di momenti di temporanea distensione e di rivoluzioni inaspettate che, come all’interno di un gigantesco monopoli esistenziale, riportano le pedine al loro punto di partenza, ripristinandone le posizioni iniziali e andando a ricreare così una sorta di eterno ritorno dal sapore nietzschano (fonte d’ispirazione dichiarata dello stesso regista).
Un film corale quindi, nel quale però spicca la grandezza da prima donna di Cate Blanchett, che, a quanto dicono, si è già prenotata un posto in prima fila per la corsa agli Oscar. È mirabile infatti il lavoro che svolge sul personaggio: le sfumature che riesce a creare sono assai calibrate, l’esaltazione e lo spaesamento sono alternate in maniera credibilissima, sia nei momenti di interazione con altri che durante i suoi discorsi paranoici e solitari. Le sabbie mobili sulle quali si trova a camminare sono incarnate dalle situazioni catastrofiche nelle quali si imbatte, in cui il suo occhio disorientato è sempre alla spasmodica ricerca di pillole o di bottiglie di alcolici. La lucidità
che sembra mancarle ritorna, seppur per poco tempo, quando realizza pensieri profondi e disperati, spietati a tal punto da turbare chi l’ascolta. Inoltre i conseguenti deliri raggiungono dei picchi d’intensità altissimi attraverso degli sguardi distorti e folli, che in qualche modo sembrano richiamare il delirio ossessivo dell’attrice decaduta del cinema muto, interpretata da Gloria Swanson nel film Viale del tramonto di Billy Wilder.
Un film dunque che sa sviluppare in maniera particolare i temi cari (carissimi) al regista, cosa non sempre possibile a causa di una saltuaria mancanza di ispirazione dovuta ad un’altissima densità produttiva (circa un film all’anno) che, a detta dello stesso Allen, gli serve per non pensare troppo: una sorta di terapia psicoanalitica volta a sopportare lo spettro della morte che lentamente gli si avvicina. Spettro che in questo film non appare nella maniera classica, ma che si insinua dentro le azioni e i pensieri dei personaggi, manifestandosi sotto la forma dell’impossibilità costante di autorealizzarsi, che mina alla base le esistenze dei personaggi, inaridendone le aspirazioni ed annullandone le azioni. Un film mortifero in maniera sotterranea, che esalta le capacità del regista, rivelandone l’attenzione alle sfumature e la sensibilità nel cogliere le amarezze insopportabili di cui può essere fatta un’esistenza colma di aspirazioni sfumate.
Voto 8
G.P.
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