sabato 25 maggio 2013

Il Grande Gatsby - Recensione



Trama

Un aspirante scrittore, Nick Carraway (Tobey Maguire), abbandonata l’idea di scrivere, si trasferisce a New York per cercare fortuna come agente finanziario. Nella grande città è subito accolto dalla cugina Daisy (Carey Mulligan), che vive in una grande casa col marito Tom (Joel Edgerton), un ex atleta, ricco sfondato, che passa le sue giornate annoiato con la bella moglie. Prende una piccola casa a Long Island proprio vicino alla residenza di un certo Gatsby (Leonardo DiCaprio). Il nome di questo ricco uomo si insinua subito nella mente del ragazzo, il quale è sempre più incuriosito a proposito dell’identità di quest’ultimo. Un giorno riceve un invito, per andare a partecipare ad una delle feste che nel fine settimana organizza, dove scopre che lui è l’unico al quale è stato recapitato un invito. A queste feste partecipa tutta la New York che conta, dai politici, agli attori, ai gangster. Una sera, ad una delle sue sfarzose feste, Jay Gatsby si presenta a Nick, che sembra essere molto affascinato dal modo di fare dell’uomo e la sua curiosità a riguardo non è ancora stata tolta, fino a quando un’amica gli rivela di aver capito tutto, poco prima di scomparire a bordo di una decappottabile di lusso…

Recensione

Il film è sostanzialmente un vulcano di luci abbaglianti, colori, suoni e rumori, che non prendono forma, non si compattano, sembrano essere semplici macchie con contorni ben marcati, destinate a non comunicare niente. La festa, raccontata solo con l’aiuto di una buona fotografia e di una sfarzosa scenografia, non può bastare per dire qualcosa.
La prima parte del film è incentrata attorno al mistero su chi sia questo Gatsby, “Esiste...” -addirittura qualcuno si chiede  - “...oppure no?”. “E se non esiste, che senso ha tutto questo?”. Gatsby prende le forme e il volto di Di Caprio, che di nuovo si trova a suo agio con una recitazione che oscilla tra il misurato e l’esplosivo, rimanendo sempre attinente al personaggio che si è cucito addosso: insomma, un’altra buonissima performance.
Alcuni buoni momenti, come l’incontro con Daisy, il momento migliore del film, che esprime nel migliore dei modi i tumulti emotivi di due persone innamorate, ma incerte l’uno dell’altra, cogliendo a fondo quanto la titubanza e la paura di non essere ricambiati possa essere terribile come esperienza di vita vissuta, ma comica nella sua spontaneità, se vista dall’esterno. Il film si impenna per un attimo per poi ricadere ad un livello che, un inizio sfavillante nei colori e povero di sostanza, aveva fatto presagire.
Alcuni momenti visivamente disneyani fanno da cornice ad una povertà di contenuti notevole, come l’arrivo del protagonista a casa della cugina Daisy e del marito spaccone, che si presenta come una scena celestiale che richiama ad un sentore quasi magico, ma che risulta essere alla fine solamente un pomposo e zuccheroso richiamo al fiabesco. Alcune accelerazioni dello zoom, all’inizio, volte a mostrare la storia dall’esterno per poi avvicinarsi, incuriosendo lo spettatore, sono forzate e alcune riprese dall’alto della città dimostrano una megalomania stilistica che risulta un po’fastidiosa. I colori forti spesso colgono nel segno come nella scena del festino in casa dell’amante del marito, ma alla lunga sconfinano i margini dell’estetica, diventando pesanti e furbescamente riempitivi.
La storia diventa melodramma e sfocia in dramma sul finale, quasi per caso. Questo fa pendere il peso del film verso la conclusione, rendendo così la prima parte leggera e la seconda eccessiva, quasi che il film volesse recuperare, con uno sprint finale, calcando però troppo la mano, così da guastare l’equilibrio e trasformando così la pellicola in qualcosa di poco omogeneo.
La limpidezza di un personaggio oscuro e la frivolezza di una società che si mostrava sicura, questo è il contrasto che anima il film. Un personaggio che clona una battuta (vecchio mio) da un anziano amico scomparso che lo aveva aiutato (supplendo l’assenza della famiglia), che ne ricalca le orme diventandone forse il naturale successore, in contrasto con una società di cui Gatsby stesso è artefice, ma che si limita ad osservare dal balcone, con cauto distacco, senza giudizi, e per di più spinto al compimento di tale creazione da uno scopo più nobile di quanto la messinscena stessa
suggerirebbe. Non un edonista quindi, ma un uomo che sfrutta l’edonismo (altrui) per conseguire un obbiettivo che potrebbe essere definito, senza eccessi melensi, puro.
Le citazioni tratte dal libro, incastrate in maniera attenta e raccontate dalla voce narrante, servono per dare profondità al film. In definitiva una pellicola che fa dell’estetica visiva la sua parte forte, ma che pretende che basti appoggiare quest’ultima addosso alle spalle solide di un romanzo che ha fatto epoca, per trarne un prodotto buono, ma purtroppo così non è.

Voto 5

G.P.

venerdì 10 maggio 2013

Ironman 3 - Recensione



Trama

Tony Strak sta progettando nuovi Ironman e passa intere giornate a brevettare nuovi congegni per migliorare il potenziale della sua creatura. Trascura la sua compagna Pepper, che però, sapendo con chi si è fidanzata, cerca di non fargli pesare più di tanto queste sue mancanze. Dal passato di Tony fa il suo ritorno un personaggio inquietante, un uomo che era stato trascurato più di dieci anni prima dal magnate e che, dopo essersi ripreso dallo smacco subito, si fa vivo contattando Pepper per proporle una poco chiara transazione d’affari. Al contempo si sono verificati degli attacchi terroristici che potrebbero centrare con questa inquietante presenza, ma che vengono imputati al Mandarino, un terrorista mediorientale che fomenta l’odio contro l’America, definendosi non un uomo di distruzione e di terrore, ma un maestro pronto ad impartire una lezione severa a tutto l’occidente. Ironman è quindi ancora una volta chiamato in causa per disinnescare il pericolo imminente e salvare tutti coloro che sono in pericolo, con l’onere stavolta, di dover far quadrare i suoi “impegni di lavoro” con il conseguimento di una stabilità di relazione con la balla compagna.

Recensione


Il super eroe in questione non è la solita sintesi di tutte le buone qualità umane, non è uno spot pubblicitario, non è immune da tristezza e ossessioni, non è nulla di tutto questo. È, come visto anche nei precedenti episodi, un uomo vittima di un ego spaventoso e di tutti i conseguenti deliri che una megalomania tanto ingombrante può comportare. Qui, in questo terzo film, il suo personaggio diventa ancor più complesso, arrivando a manifestare questo suo senso di inadeguatezza attraverso attacchi di panico sempre più frequenti, rivelatori di un disagio forte, quasi come se non vedesse l’ora di scrollarsi di dosso l’aura di supereroe e l’onere che esso comporta, lasciando posto alla persona piuttosto che al personaggio, al volto piuttosto che alla maschera. Emblematica in tal senso è la scena in cui Tony è costretto a trascinare la sua corazza attraverso un sentiero innevato, nel bel mezzo di una tormenta. Questa è l’immagine simbolo del film: un uomo che vive come un peso il proprio alterego, ma dal quale, alla fine, riuscirà a separarsi. L’introspezione del personaggio è quindi uno degli aspetti nuovi o comunque più marcati, poco presenti e che raramente compaiono nei film per ragazzi di questo genere. Era già accaduto col primo Ironman e, un po’ meno col secondo, e si era visto con la trilogia di Batman di Nolan (ma quello è senza dubbio il supereroe che è stato trattato in maniera più adulta e che ha saputo nobilitare il filone, superandolo). Comunque il film in questione sa offrire momenti di ironia godibilissimi, tutti veicolati dalla compiaciuta guasconeria da Robert Downey Jr., che per certi aspetti ricorda i grandi comici di razza, che sapevano far ridere con l’immobilità del proprio volto, come per esempio Hugh Laurie (dr. House) e Bill Murray. La vicenda in questo caso offre spunti che sono molto attuali, come il tema della manipolazione delle masse e l’uso fondamentale dei media a tale scopo e, anzi, si potrebbe addirittura affermare che si tratti di una riflessione sul ruolo dell’immagine e su come questa possa colpire e distorcere a tal punto lo sguardo dello spettatore, fino a portarlo dalla propria parte. Il tema della vendetta, molto gettonato all’interno di questo genere cinematografico, è qui affrontato in modo standard, con il cattivo di turno che in parte è stato reso tale dal buono, che, a quanto pare, totalmente buono non è. Ciò potrebbe essere traslato all’interno di una parabola che vede il protagonista come creatore dei propri mostri e quindi anche come il più indicato alla loro eliminazione. Per la prima volta vediamo Tony Stark, magnate
dell’industria e potente uomo d’affari, alle prese con un tentativo di rapporto stabile con la bella compagna Pepper (Gwyneth Paltrow), e forse proprio questo si rivelerà essere la vera sfida per l’uomo che abita dentro la sua corazza. Insomma un vero dilemma per un protagonista, che dovrà fare i conti, da una parte, con l’ingombro della maschera da eroe e, dall’altra, con la vulnerabilità che l’assenza di quest’ultima comporterebbe. Inutile citare l’utilizzo abbondante di effetti speciali, che però quasi mai diventano invadenti, trasformandosi così in un maldestro stratagemma (specialmente per questo genere di film) di riempire vuoti di idee e di sceneggiatura: sono infatti limitati, seppur sofisticati e all’avanguardia, all’esaurimento del loro compito prioritario, cioè quello decorativo e, se vogliamo, emozionale. In definitiva si tratta quindi di un prodotto (di poco) sopra la media, all’interno del filone tratto dai Comics: che riesca, giunto al terzo episodio, ad essere superiore ad altre pellicole dello stesso genere (che magari rappresentano il tassello d’esordio di nuove saghe tratte dai fumetti) rappresenta sicuramente un punto a suo favore: il film conclusivo (forse) di una trilogia che ha, nel primo capitolo, sicuramente la sua parte migliore, ma che ha in questo film una degna chiusura.

Voto 6,5

G.P.