domenica 2 marzo 2014

Smetto quando voglio - Recensione


Regia Sydney Sibilia

Attori Edoardo Leo, Valeria Solarino, Valerio Aprea, Lorenzo Lavia, Stefano Fresi,
Paolo Calabresi, Pietro Sermonti, Libero De Rienzo, Neri Marcorè

Trama

Pietro è un ricercatore universitario specializzato in neurobiologia, vive con la compagna Giulia, e a causa della crisi fatica a sbarcare il lunario. Umiliato da una condizione che non lo valorizza e che non gli garantisce sicurezza economica, decide di impiegare le sue conoscenze per produrre una nuovissima droga, non ancora vietata in Italia e quindi perfettamente legale. Per realizzare l’impresa si circonda di un manipolo di accademici ridotti nelle sue stesse condizioni: i latinisti Mattia e Giorgio, il chimico Alberto, l’antropologo Andrea, l’economista Bartolomeo, e l’archeologo Arturo. Il successo nel loro nuovo business li esporrà all’attenzione del Murena, boss della droga romana, e a quella delle forze dell’ordine che, dopo aver inserito la loro creazione nella lista delle sostanze illecite, cominciano a seguire con sempre maggiore interesse i loro traffici.

Recensione

Nei tempi di crisi qualsiasi discorso etico finisce col passare in secondo piano di fronte alla prospettiva di una vita che non garantisce la sopravvivenza, così 7 ricercatori universitari si vedono costretti a reinventarsi, riciclandosi come produttori e spacciatori di droga. Le potenzialità comiche della pellicola risultano evidenti, ma vengono sfruttate solo parzialmente. Il film stenta infatti a decollare, soprattutto per un difetto strutturale nella sceneggiatura, che vede la storia arrivare al dunque solo attorno alla mezz’ora del film, addormentando così il primo terzo della pellicola. Questa prima parte si limita a mostrare la vita frustrante del protagonista, il quale non vede affatto tradursi in successo professionale, e quindi economico, gli sforzi fatti fino a quel momento, e nemmeno il suo talento indiscusso sembra essere riconosciuto dai superiori, che lo snobbano proprio perché non sembrano essere in grado di comprenderlo. I personaggi che gravitano attorno a questa “astuta mente criminale” (e dai quali dipende gran parte della verve comica della pellicola) sono anch’essi dei piccoli geni nei rispettivi ambienti accademici, costretti ad accontentarsi di un lavoro mal retribuito e del tutto scollegato dal proprio settore di competenza. Il successo della loro impresa, va di pari passo con un’impennata della pellicola, anche se questa non sembra essere del tutto ben gestita. La banda si troverà a fare i conti con il successo e con la conseguente ingordigia di alcuni suoi elementi, ed è proprio a questo punto della storia che la narrazione prende una piega non definita. Si notano infatti echi drammatici che rendono poco chiaro il tono di questa commedia dai dichiarati intenti comici, che finisce col tradurre questa mancata chiarezza in situazioni confuse ed involontariamente grottesche. Il finale recupera in leggerezza, traducendo l’intera storia in una stramba parentesi in cui degli incorreggibili sfigati si impongono rocambolescamente all’interno di un mondo, quello della malavita, a loro totalmente sconosciuto, fino a venirne risputati, non prima di avere però gettato scompiglio nella struttura criminale contro la quale si sono involontariamente scontrati. È un film che parte da un buonissimo spunto, caratteristica non rara nel cinema italiano degli ultimi anni (un esempio può essere rappresentato dalla pellicola Immaturi di Genovese), ma che ha nella stesura e nel mancato sviluppo di alcune sue potenzialità dei difetti evidenti. Risulta però un discreto tentativo della commedia italiana, fino a poco tempo fa identificata quasi totalmente con il “fenomeno” dei cinepanettoni, di cimentarsi con la realtà contemporanea e con la crisi economica attuale, tema che ha dato spunto a non pochi personaggi del nostro cinema, come Checco Zalone in Sole a catinelle e Carlo Verdone in Posti in piedi in paradiso. Ne risulta un prodotto tutto sommato godibile che non offre di certo proposte di risoluzione al problema (l’idea di base infatti è un evidente tentativo di raggirare il problema, proprio in mancanza di una soluzione),
ma che dà voce alla frustrazione che un momento storico come il nostro può generare, limitandosi a declinare una situazione sull’orlo del tragico in una chiave comica non marcatamente dissacrante (e quindi poco coraggiosa), ma a tratti divertente e leggera, pur con i limiti, e i relativi margini di miglioramento, che questo genere in Italia ancora manifesta.

Voto 5/6
G.P.

Nessun commento:

Posta un commento