mercoledì 29 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street - Recensione


Regia: Martin Scorsese
Attori: Leonardo Di Caprio, Jonah Hill, Margot Robbie, Matthew McConaughey, Jean Dujardin

Trama

Jordan Belfort è un brocker di New York che, giovanissimo, decide di mettersi in proprio aprendo un’azienda con Donnie, suo vicino di casa, ed altri suoi conoscenti. Nel giro di poco tempo l’attività si espande a tal punto che Jordan, a soli 26 anni, si ritrova in possesso di una delle principali aziende in ascesa di tutta Wall Street, talmente grande da fargli guadagnare il soprannome di Wolfie. Con il successo cambia anche lo stile di vita di Jordan, il quale divorzia dalla prima moglie per sposarsi con l’amante, un’avvenente ragazza conosciuta poco prima. L’FBI comincia però ad indagare sulle sue attività, insospettita dalla sua fulminante ascesa. Inizia così una battaglia tra guardie e ladri tra il giovane uomo d’affari e il governo americano, che andrà di pari passo con il declino professionale e sentimentale di Jordan.

Recensione

Droga, sesso e Wall Street: questo potrebbe essere senza dubbio il sottotitolo dell’ultima pellicola diretta da Martin Scorsese, che questa volta si cimenta con una storia che parla di crimine e finanza. Il giovane rampante Jordan Belfort incarna l’arrivismo e la smania di potere tipica della gioventù americana nell’era reaganiana (e post-reaganiana) a cavallo tra gli anni ’80 e ‘90. Il suo è un mondo popolato da bambini che non riconoscono le leggi degli adulti, e allora, divenuti abbastanza grandi, se ne fanno di proprie, non ponendosi limiti etici di alcun tipo. Il suo mentore lo aveva avvisato che per reggere in quel campo bisogna affidarsi a due elementi: la masturbazione e la cocaina. L’allievo supera di gran lunga il maestro, arrivando ad organizzare, una volta aperta la sua società, festini sexy in ufficio (con licenza di consumare rapporti sessuali) e a consumare una quantità di droga giornaliera “che stenderebbe tutta Manhattan e Queens per un mese”. Le droghe fungono quindi da energetici per far durare più a lungo il gioco e le donne sono una deliziosa decorazione, un optional a cui un edonista convinto non può rinunciare. Per una volta un film di Scorsese è stato vietato (ai minori di 14 anni) non per l’uso esplicito della violenza, ma per quello del sesso, che rappresenta una costante all’interno dell’intera pellicola. Viene infatti vissuto con la più totale assenza di coinvolgimento sentimentale, tanto da essere declassato a manifestazione esplicita e sboccata del proprio possesso e del proprio status gerarchico (concetto ben espresso nella scena che mostra la suddivisione in categorie estetiche delle prostitute che gravitano attorno all’azienda).
Il mestiere di questi nuovi businessman consiste nel truffare investitori ignoranti, per cominciare, passando poi a quelli più grossi, man mano l’attività si allarga. Non provano rimorso per quello che fanno, quasi fossero bambini alle prese con un pacchetto di caramelle appena rubato. Questo loro atteggiamento indolente non corre però il rischio di appiattire il film, poiché è proprio l’accumulo e la ripetizione di tali atti a creare le fondamenta del loro stile di vita, e quindi l’apatia dei personaggi, imbambolati di fronte al simbolo del dollaro, offre a Scorsese un spunto di analisi interessante. È una pellicola che ricorda Quei bravi ragazzi e Casinò, per come mette in mostra il mondo all’interno del quale si muovono i personaggi, ed il modo in cui essi svolgono le loro attività, osservando come queste non sembrino mai portare ad una forma di sazietà, rigenerandosi costantemente all’interno di un circolo vizioso che ha nell’eccesso l’obbiettivo ultimo di qualsiasi azione.
Lo stile di Scorsese è il solito: fulminante ed imprevedibile, dinamicissimo nello sviluppare le azioni e nel raccordarle tra loro. Si assiste a momenti di rara pulizia tecnica e registica (attraverso l’uso del ralenti, per esempio) ai quali il regista italoamericano ci ha abituati, come nella scena del lancio dell’orologio durante uno dei suoi comizi, o nei momenti in cui le droghe entrano in circolo, creando un punto di rottura secco con la realtà circostante. Utilissimo l’approccio confidenziale con cui il protagonista si rivolge al pubblico, spesso guardando anche in camera, in un esercizio meta cinematografico che Scorsese aveva già utilizzato in Quei bravi ragazzi. Un elemento in parte nuovo è però rappresentato dall’umorismo marcato, e talvolta demenziale, molto presente in questa pellicola, accentuato da un taglio registico che sottolinea ironicamente alcune situazioni, anche le più drammatiche. Questo espediente evidenzia il carattere dei personaggi, così da dare alle loro azioni dei connotati spiccatamente ludici che, accostate alla loro indole infantile, porta il film sui binari del grottesco.
Di Caprio in questo film dà sfogo agli eccessi che la sua indole di attore vulcanico gli permette di esprimere, diventando quasi mefistofelico in alcune sue espressioni (soprattutto in quelle in cui arringa i suoi dipendenti) e giungendo così a trovare il ruolo adatto in cui liberare i suoi isterismi (sempre da manuale, si intende) senza timore di risultare sopra le righe. Un carisma davvero poco comune il suo, che permette di dar vita ad un personaggio indomito e profondamente animalesco, incapace di cedere al pentimento o di rimuginare sul patrimonio dilapidato. Nei frangenti finali della pellicola Scorsese si limita a filmare la sua caduta repentina, concentrandosi sui momenti che l’hanno segnata, senza trarre conclusioni o azzardare giudizi di alcun genere.
Ci sono forse alcune lungaggini di troppo all’interno di scene che peraltro sarebbero risultate più incisive se sintetizzate, e risultano un po’ forzati alcuni espedienti che poco si confanno ad un film di questo genere (come per esempio alcune voci off che talvolta forzano la scena, inclinandola troppo sul versante comico), ma nel complesso le tre ore di film passano senza pesare, riuscendo a divertire lo spettatore.
Un film che, nonostante la vicenda raccontata, non si perde in sentimentalismi e non concede nulla all’emotività, come è nello stile del regista d’altronde, che preferisce da sempre dare vigore agli eventi, vivacità alle scene e contorni netti ai personaggi, piuttosto che scegliere una (comunque plausibilissima) chiave narrativa controllata ed un tono più intimo con cui mettere in scena la storia. Come sempre la musica ha notevole importanza nel suo cinema poiché permette di scandire le scene designandone spesso il tono, come fa per esempio la canzone Mrs. Robinson (nella versione rock dei Lemonheads), che sfuma la pellicola verso un finale beffardo per il protagonista. A tal proposito va menzionata anche la presenza della canzone Gloria di Tozzi, presente in una scena che mostra un “soggiorno forzato” del protagonista in territorio italiano.
Uno Scorsese che torna a trattare i temi legati al mondo del crimine, tanto cari al suo cinema, dopo l’incursione nel mondo della favola dickensiana di Hugo Cabret, suo penultimo film, e lo fa aggiungendo un tassello alla sua lunga galleria di personaggi raccontati finora, portandosi a casa 5 pesanti nomination nella corsa agli Oscar (miglior film, regia, attore protagonista per Leonardo Di Caprio, attore non protagonista per Jonah Hill e per la sceneggiatura non originale). Staremo a vedere se e in quali categorie questo film la spunterà.

Voto 8
G.P.

Nessun commento:

Posta un commento